…Alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare…
12 Agosto 2015
ABBIAMO…
Abbiamo volato sopra a terre mai viste, sopra a paesi in pace e in guerra, attraversando nuvole e sogni, portando con noi solo qualche valigia piena di palloni e le nostre storie.
Abbiamo camminato. In mezzo a foreste rigogliose in cui la natura dona generosa i suoi frutti ai bambini dei villaggi, dove la pioggia giunge il pomeriggio, in questi mesi, a rinfrescare l’aria, dove la gente ama ballare pregando. Abbiamo cantato, in una chiesa dal pavimento di polvere e le pareti che lasciano filtrare l’azzurro del cielo e in un’altra, fatta di frasche, in cui la gente si raduna per pregare, mangiare, parlare… vivere insieme. Ci siamo sentiti a casa, pur non avendo né luce né acqua, assaggiando sulla nostra pelle l’odore sudato della gioia che nasce dalla fatica. Abbiamo piantato il cacao insieme a uomini provenienti da 13 villaggi, nella speranza di far nascere una nuova risorsa per il mantenimento della parrocchia, animati dal desiderio di lasciare un piccolo segno della nostra amicizia.
Abbiamo stretto mani piccole e grandi, incontrato persone che, pur non capendo la nostra lingua, ci camminavano al fianco, desiderose di viverci e di gustare qualcosa di quell’Italia che, nei loro pensieri, spesso è un ambito destino.
Abbiamo corso e giocato come bambini con i bambini, guardando il mondo con i loro occhi, annusando la giornata con la loro curiosità. Abbiamo bevuto vino di palma e mangiato banane fritte, insegnato tutto ciò che sapevamo sullo sport e imparato ad affrontare la realtà da prospettive diverse. Abbiamo parlato, gesticolato, riso e sorriso! Ci siamo riempiti l’anima di sorrisi fino a traboccarne, fino a sentire male al cuore perché ciò che ricevevamo era troppo grande, troppo vero e troppo bello… e a volte, anche se con dolcezza, perfino la bellezza può ferire.
Abbiamo dato spazio alle domande che ci urlavano dentro e siamo rimasti in ascolto, mentre la quotidianità di giorni mai uguali cercava di suggerirci risposte. Abbiamo osservato in silenzio le stelle, leggendo negli occhi dei nostri amici che il mondo è un dono stupendo. Abbiamo giocato con i detenuti tra le pozzanghere del cortile della prigione di Mbalmayo, dove i prigionieri non riescono mai a dormire a causa delle punture degli insetti e un ragazzo sconta la sua pena cantando continuamente per tutti che “Dio è buono”.
Ci siamo sentiti piccoli, impotenti, fragili, ma certi del senso di ciò che stavamo facendo. Abbiamo raccolto i nostri palloni per portarli in un villaggio lontano, in cui la chiesa è un po’ eccentrica: un edificio a forma di aereo in cui la cabina di pilotaggio è occupata dal tabernacolo. Abbiamo inserito il W1, come ci ha suggerito il nostro presidente, e siamo decollati del tutto, decisi più che mai verso la nostra ultima destinazione: Yaounde, la capitale di uno stato che sembrava così lontano e che, in pochi giorni, abbiamo sentito nostro. Noi, i “blanches” guardati a volte con curiosità e, a volte, con disprezzo, abbiamo calpestato le sue strade, mischiandoci alla sua polvere e ai suoi colori. Siamo penetrati nei suoi quartieri più difficili, sfidandone la delinquenza armati di un semplice pallone.
“State attenti ai furti!”” ci ripetevano gli amici camerunesi. Non è stato necessario. Delicatezza nelle dita dei bambini delle baracche, voglia di giocare nelle ginocchia, nei piedi, negli occhi. Nemmeno la pioggia ci ha fermati: non potevamo tradire quei sorrisi. Qui si gioca, si gioca perché la vita non è un gioco, ma è bella! E noi conosciamo soprattutto questo strano modo, questo far rotolare un pallone, questo correre insieme, per gridare a tutti che l’uomo è fatto per la felicità. L’abbiamo gridato, forte, mentre la miseria di un quartiere malfamato attentava alle nostre convinzioni. L’abbiamo respirato ancorati alla nostra “terrazza di terra rossa” che, come una zattera, spiana la strada ai sogni spezzando il fianco rotondo della collina. L’abbiamo sperimentato, trascorrendo tre settimane dense che ci hanno consentito di toccare la pienezza di una vita in cui ogni singolo gesto viene riempito di senso e in cui nulla cade nel vuoto.
Abbiamo ascoltato i racconti di una donna eccezionale che ci ha mostrato il volto autentico di “un’Africa che sta in piedi”. Abbiamo girato la città in lungo e in largo, guidati da amici che volevano farci conoscere la loro storia e imparare la nostra lingua. Abbiamo provato emozioni che non si possono esprimere.
Abbiamo capito cosa desideriamo per la nostra vita.
Abbiamo scoperto di tornare a casa non diversi, ma migliori.
Abbiamo deciso che il nostro viaggio non finisce qui, perché con le nostre mani, ma con la Sua forza, con i Suoi disegni, ma con i nostri colori, la vita potrà solo continuare a stupirci.
Pieni di gratitudine, cara Italia, siamo tornati!
Elena Motta